6 giu 2011

DIARIO DI UNO STUDENTE



Eravamo rientrati a Napoli, città di origine delle famiglie, dopo anni di lontananza.
La decisione era stata presa dopo i fallimenti imprenditoriali di papà, prima con la truffa patita per un palazzo costruito a Serravalle Scrivia, del quale aveva fatto il progetto e diretto i lavori senza ricevere alcun compenso (gli sarebbero dovuti toccare in proprietà due piani dei sei costruiti ma, grazie ad un inghippo legale, glieli rifiutarono), poi di una avventura editoriale, che affondò perché il socio capitalista non pose a disposizione i soldi promessi. Da Napoli, un cognato di papà gli aveva scritto ripetutamente che la città era tutto un fermento di costruzioni, era tutto un cantiere, che si costruiva dappertutto, che sicuramente avrebbe trovato da fare...
Si lasciò convincere, e partimmo, noi tre e li gatto persiano rosso della famiglia.
E così, anno scolastico nuovo, scuola nuova: un Istituto di preti, una delle migliori scuole di Napoli.
La differenza rispetto alla scuola rurale di Serravalle che più mi colpì furono le aule: banchi mantenuti pulitissimi, senza un graffio o uno scarabocchio, lavagne ampie, grandi carte geografiche alle pareti. I professori, la maggior parte laici. L'ambiente, i compagni, medio-alta borghesia. Io mi trovavo perfettamente a mio agio, e subito feci amicizia con alcuni dei compagni di scuola.
In quella scuola avrei frequentato le tre medie, ginnasio e liceo, ed avrei fatto amicizie che sarebbero durate tutta la vita. Una in particolare, fu quella con Wannio, che, anni dopo sarebbe addirittura diventato padrino di battesimo del quarto dei miei figli, l'ultimo nato a Napoli. Purtroppo, le vicissitudini della mia vita, me li fecero perder di vista, anche per colpa di mia moglie, che partiva dal presupposto che le amicizie di una coppia solo dovessero essere quelle fatte insieme.
Una figura importante di quell'epoca fu il Prof. Mario Frezza, docente di lingua e letteratura italiana. Ottimo insegnante, molto preparato, era però lo spauracchio di tutti, attuali e precedenti studenti dell'Istituto. Non perché avesse mai alzato la voce, o usato una bacchetta (come facevano alcuni preti),ma perché la sua aria di perennemente disgustato, distante, schivo da qualsiasi rapporto informale, spaventava tutti. Eppure, fuori dalla classe, era un uomo molto alla mano: ricordo come una volta convocò me ed un altro compagno mio di classe per aiutarlo a correggere le bozze di un articolo che stava pubblicando. Ci portò a casa sua con la sua macchina, e per tutto il percorso non fece altro che commentare quanto potente e veloce fosse quell'automobile sportiva che conduceva spericolatamene per la strada tutta curve che portava dal piazzale Montesanto, nella zona bassa di Napoli, alla collina del Vomero dove abitava.
Le bozze del Prof. Frezza non furono le uniche che mi toccò correggere: anche l'ex preside dell'Istituto, docente di filosofia all'Università di Napoli, mi affibbiò il lavoro ingrato di correggere quelle di un suo lavoro su Plotino. Non erano le due paginette di Frezza, erano un centinaio almeno di pagine...
Anche durante i non rari periodi di difficoltà economica che la famiglia aveva vissuto, sempre avevo frequentato la scuola in istituti privati. Snobismo? Vanità? No, necessità, almeno per papà: lui e mamma non erano sposati e, all'anagrafe, il mio cognome era quello di mamma. Nelle scuole private, papà riusciva a convincere i
presidi ad iscrivermi con il suo cognome, ma ora, con la maturità alle porte,occorreva una soluzione più drastica e definitiva. Una sorella di papà, Maria, rimasta da poco vedova, mi adottò legalmente e, di conseguenza, presi il suo cognome, che era anche quello di mio padre. Obbiettivo conseguito! Da allora sarei stato un Rende di nome, anche se fin dalla nascita lo ero di fatto!
Zia Maria era solita recarsi a “fare i fanghi” in una località vicina, Pozzuoli, nota, oltre che per le sorgenti termali, per il curioso fenomeno del bradisismo, che la fa periodicamente innalzare e poi riabbassare, e per le rovine di un tempio di Serapide, del quale rimanevano, oltre la prima fila di pietre del muro di cinta, su di una pianta rotonda tre alte colonne e tutta una serie di colonne più basse. Ci portava sempre con se, mio cugino Ennio, due anni maggiore di me, e me per tutta la quindicina che lei passava a Pozzuoli.
E fu proprio a Pozzuoli che imparai a nuotare. Sì, perché, non ostante le tante estati passate sulla spiaggia di Camogli, non sapevo nuotare...Ma, come si dice, di necessità virtù: Pozzuoli non ha una vera a propria spiaggia e, per bagnarsi a mare, era necessario tuffarsi dalla diga foranea del porticciolo. Pere mio cugino Ennio, nuotatore esperto, non era nessun problema e, per me, fu giocoforza tuffarmi...e non annegare!
Finalmente arrivò la tanto temuta maturità.
Gli scritti.
Italiano: scelto il tema di critica ad una poesia (“Il sonetto”) di Metastasio, feci la critica comparandolo con l'omonima poesia di Carducci, che non portavamo nemmeno in programma, citandolo a memoria. Totale: quattro facciate complete di protocollo (non a metà, come si usava).
Latino: senza pena né gloria, ma me la cavai abbastanza bene.
Greco: quell'anno, il 1962, fu un disastro in tutta Italia: il testo giunto dal ministero aveva un errore di ortografia (mi sembra che mancasse una iota sottoscritta ad un omega) che rese un periodo assolutamente intraducibile. Meno male che la commissione esaminatrice ne tenne conto, sennò chissà come sarebbe finita, e non solo per me...
Agli orali, un piccolo incidente, che mi costò tre decimi in meno sulla media finale: portavamo, come libro di referenza, “I Malavoglia” di Verga. Io, lo confesso, non lo avevo mai neanche aperto (in realtà, non lo avevo nemmeno comprato...), sicché, quando la cerbera esaminatrice, dopo varie domande a cui risposi correttamente, mi buttò lì un “Mi parli del quarto capitolo de “I Malavoglia” e della sua importanza nello sviluppo del romanzo”, rimasi a bocca aperta. Ma che, aveva voglia di fregarmi a tutti i costi? Anche se avessi letto il libro, come potevo ricordare UN CAPITOLO in particolare, sopratutto con la tensione dell'esame?
Non ostante tutto, devo dire che fui soddisfatto della media finale di 9,7/10, anche se questo mi lasciò solo al secondo posto del successivo concorso regionale per la migliore maturità...ed “I Malavoglia” l'ho poi letto, e...non m'è piaciuto. Inconscio vizio d'origine? Forse...
La prima lezione di Chimica Generale 1 mi affascinò. Non tanto per il contenuto (avevo già letto, per conto mio, qualcosa sull'argomento), ma per la scenografia: l'aula grande con le grade affollate di studenti, il giovane professore (aveva solo trentun anni, ed era già titolare di cattedra e direttore dell'Istituto Chimico) che sarebbe rimasto il mio idolo per sempre, il bancone di mattonelle bianche dove si potevano montare esperienze, la grande Tavola Periodica di Mendeleeev appesa alla
parete alle spalle del professore...
L'aula era piena perché i corsi di Chimica Generale erano condivisi con gli studenti delle altre scienze (biologica, naturale, geologia): in realtà, alla facoltà di Chimica e Chimica Industriale ci eravamo immatricolati in novantadue, dei quali al quinto anno eravamo rimasti solo cinque: gli altri si erano “perduti” per strada: fuoricorso, o cambiati di facoltà.
All'epoca, esisteva solo l'Università Federico II”, e tutto ruotava nei vecchi edifici tra Corso Umberto I, Via Mezzocannone e la parallela Via Palladino. Ovviamente, il “regno” ella facoltà di medicina era il vecchio Policlinico Generale. Il Politecnico si sarebbe trasferito, qualche anno dopo, nelle nuove istallazioni di Fuorigrotta, e così non ci furono più “ingegneri” a condividere con noi le aule di matematica nell'Istituto di via Mezzocannone.
Gli anni dell'università passarono in fretta, e mi trovai alle porte della laurea senza un solo esame arretrato dei trentatré previsti dal piano di studi (al quarto anno avevo liquidato tutti e nove gli esami previsti dal piano di studi tra la sessione di giugno e quella di settembre, un vero tour-de-force).
Furono comunque anni epici, di corsa da un'aula all'altra di mattina, il pomeriggio i laboratori, la sera a studiare. Andare a cinema? Rarissimo. Uscire con la morosa? Se e quando si poteva, la domenica, le feste comandate e le vacanze estive, queste ultime sì, al mare insieme!

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