27 dic 2009

FACCETTA NERA



Ieri c'è stata una simpatica "discussione" con alcuni amici di Facebook intorno alla canzone "Faccetta Nera", tra quelli che ci chiamano "nostalgici", anche se, per la nostra età non potremmo esserlo, e quelli che, come me, cerchiamo di essere un poco più obbiettivi sul tanto detestato periodo della nostra storia patria.
In questo post, senza assolutamente discutere il fondo del problema (si stava meglio quando si stava peggio?), mi piacerebbe affrontare, con l'oggettività che cerco sempre di mantenere, il tema dell'avventura africana del 1936, quella appunto di "Faccetta Nera", sopratutto dal punto di vista di una comparazione tra il "colonialismo" italiano e quello anglo-francese.
Lo spirito con cui si affrontò la conquista di Etiopia è chiaramente espresso dal ritornello della canzone:
"Faccetta nera, bell'abissina,
ti porteremo a Roma liberata
dal sole nostro tu sarai baciata
sarai camicia nera pure tu!"
E, durante l'occupazione italiana, vengono costruite strade, scuole e ospedali. E quando Heilè Selassiè riprende il potere, chiama a architetti italiani per costruire il suo palazzo in Addis Abeba.
E questo era già avvenuto in Libia: quando io viaggiavo per quei paraggi, era una soddisfazione poter parlare in italiano con i vecchi, che erano stati alla scuola italiana!
Ma l'aspetto che voglio sottolineare è un altro: i rapporti umani tra colonizzatori italiani e colonizzati, siano libici o eritrei, sono sempre stati questi, umani, da pari a pari. E che questo continui così ho potuto costatarlo personalmente, appunto in Libia, dove, per ragioni di lavoro, ho dovuto passare lunghi periodi di tempo nei campi petroliferi, tra cui quelli dell'italiana AGIP. E lì appunto ho potuto toccare con mano la differenza delle relazioni tra gli operai e tecnici locali ed italiani rispetto a quelle che si avevano negli altri campi.
Un dettaglio in più per capire l'atteggiamento dell'italiano "medio" rispetto ai nativi: quando vivevamo in Sud Africa (quella bianca dell'apartheid, per intenderci), avevamo, come tutti gli "espatriati", una servetta negra che, come dettato dalle leggi razziali, viveva nella sua casetta nel giardino della nostra casa, e che non siamo mai riusciti a convincere perché mangiasse con noi alla nostra tavola. Bene, davanti alla porta del giardino di casa nostra, c'era sempre una piccola fila di ragazze negre in cerca di lavoro, cosa che non avveniva nelle case dei vicini. Poi ci spiegarono (i nostri vicini boeri) che era perché eravamo italiani: gli italiani erano i "datori di lavoro" più ricercati dalle ragazze locali! Perché sarà?

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